La piana di Milazzo: territorio e ambiente dall’antichità ai primordi dell’era moderna.

Veduta di una vasta porzione della Piana con l’istmo e la città di Milazzo con il promontorio.

Tutto il territorio situato nella parte nord-orientale della Sicilia, «una vasta zona di circa 40 Km, che si estende da Divieto sino ad Oliveri», delimitato da una parte dalla catena montuosa dei Peloritani e dall’altra dalle acque del Tirreno, pos-siamo ritenerlo un’area geografica dotata di alcune peculiarità. È uno spazio omogeneo dai caratteri geografici, fisici ed antropici tali da formare una macro-area accomunata da un’intensa e continua presenza umana, manifestatasi a partire dalle epoche più remote, con variabili più o meno caratterizzanti per singoli siti, per approdare alle soglie dell’età contemporanea. Un ambiente fisico composito ma strettamente interconnesso nei suoi caratteri originali tali da addensare un insieme di paesaggi simili, dove l’uomo, nel corso dei millenni, non ha mai smesso di interagire pur di risiedervi. Un ecosistema ricchissimo di tutte quelle risorse richieste per soddisfare la quasi totalità delle umane necessità: dalle foreste, che fornivano il prezioso legno, alla selvaggina e ai frutti spontanei; dalle inesauribili sorgenti d’acqua, che alimentavano i numerosi torrenti, ai terreni fertili che si prestavano ad ogni tipo di coltivazione e con un vicino mare pescoso a lambirli; dalle favorevoli condizioni micro-climatiche alla vasta gamma di georisorse presenti da sfruttare. Tutte condizioni per esercitare al meglio, senza grandi sforzi di adattamenti, le pratiche venatorie, agronomiche e zootecniche. E che la frequentazione umana sia molto antica, lo testimoniano le tracce di insediamenti sparse per ogni dove nella Piana.

[…] una forte concentrazione di grandi e piccoli torrenti nei quali scorreva in tutte le stagioni il prezioso liquido che fuoriusciva dei serbatoi naturali delle falde acquifere. Molti autori del passato ci parlano dell’abbondanza di acqua dei fiumi siciliani a tal punto da far pensare a Michele Amari che per alcuni di questi l’acqua «sembra veramente maggiore dell’attuale, ove si risguardi alla descrizione particolareggiata» fatta dagli scrittori arabi dell’XI e XII sec., quali Edrisi per il quale «i fiumi dice navigabili a barcacce di trasporto ed or più nol sono».[1]  Secoli dopo, lo stesso T. Fazello affermava che le fiumare che scendevano dai monti al mare nel passato erano perenni di acque. E che i nostri maggiori torrenti, quali il Saponara, Bagheria, Niceto, Muto, Corriolo, Mela, Termini (Patrì), Mazzarrà e Oliveri fossero alimentati da ricche sorgenti lo dimostrano le diverse attività industriali che utilizzavano l’energia idrica proveniente dagli stessi. Implementati da tecniche innovative introdotte in Sicilia già sul finire del IX sec., l’impiego dei Mulini ad energia idraulica[2] vide una forte espansione nei secoli successivi tale da poter affermare che la loro attività, per quanto riguarda l’area peloritana, si sia svolta con regolarità e con la stessa intensità sino alla fine del XIX sec..[3]  Emblematico rimane il numero dei Mulini al servizio della Terra di S.Lucia del Mela ancora sul finire del 700’ che poteva contare sull’attività di ventisette strutture molitorie[4] sparse tra i bacini idrografici del Muto, Corriolo e Mela. Diversi mulini da frumento sono testimoniati nel 1560,[5] nel 1740[6] e nel 1823[7] presso il fiume Oliveri; altri «che triturano a perfezione il grano» sono presenti lungo l’argine del fiume Larderia; quest’ultimi furono coinvolti nelle operazioni militari della rivolta antispagnola di Messina del 1674. Ed ancora  lungo il torrente Saponara,  flomaria Rometti nel 1105[8] e nel 1632:[9] in questa fiumara, due mulini risultarono attivi sino ai primissimi anni del secondo dopoguerra. Diversi sono segnalati nei pressi degli argini del torrente Castroreale e su quelli del Termini;[10] ed ancora un mulino in contrada Laino sul Muto o Gualtieri. Altri erano attivi lungo il Mazzarà e il Bagheria.[11] Conosciamo i mulini Casacallo e Sajtta operativi nel 1453 nei pressi del fiume Niceto.[12] E sempre nello stesso corso d’acqua, nella prima metà del XIX sec., era in attività un mulino alimentato da una ricca sorgente.[13]

Per evitare di essere coinvolti nei guasti delle piene[14], non sempre i mulini ad acqua erano costruiti nelle immediate vicinanze del fiume ma, utilizzando un sapiente sistema di canali di derivazione, potevano far giungere l’acqua sin dove fosse necessaria per far muovere la ruota provvista di razze alettate dell’ordigno molitorio. I mulini dei peloritani ebbero quasi tutti un sistema atto ad azionare la macina basato sulla ruota con asse orizzontale per sfruttare al meglio la forza dell’acqua anche nelle stagioni meno piovose quando il limite della portata dei torrenti era minore. A corredo non dobbiamo dimenticare la presenza lungo le rive dei nostri fiumi degli opifici idraulici che, oltre alla molitura delle granaglie, eseguivano la frantumazione della canna da zucchero e la follatura (batinderium o paraturi) della lana e di altre fibre tessili vegetali, come canapa, cotone e lino. Numerose le Serre d’acqua per segare il legno e produrre tavole per esigenze edilizie mentre non mancavano fabbriche (Polveriere) per la produzione della polvere da sparo, documentati lungo il Saponara e il Bagheria, dove è possibile vedere ancora oggi gli edifici e i canali di adduzione dell’acqua.[15]  Fattori socio-economici[16] oltre alla diminuita portata idrica delle sorgenti hanno contribuito alla scomparsa della quasi totalità degli opifici. Non tutti i Mulini a trazione idraulica superstiti adottarono la forza motrice del vapore poiché passarono direttamente all’energia elettrica.

Non v’è dubbio che oltre alla porosità dei terreni, la capacità d’accumulo delle falde acquifere fosse agevolata notevolmente dalla presenza della vasta foresta[17] che rendeva il terreno permeabile all’assorbimento di una parte dell’acqua piovana. Le sorgenti che ne scaturivano si riversavano nei bacini dei torrenti che, tagliando in diversi punti l’area, scorrevano in direzione Sud-Nord  verso il Mar Tirreno. Ma la foresta assolveva ad un’altra funzione naturale importantissima per la stabilità dei terreni: impediva l’asportazione di materiali solidi dovuti all’erosione torrenziale.[18]

A partire dall’VIII sec. d.C. i placidi e docili torrenti, fonti di fertilità per la piana, iniziarono gradualmente a trasformarsi in vaste fiumare:  dal tratto iniziale incassato dentro limitate valli per diventare larghe e piene di materiali nella parte deltizia; dal regime nettamente torrentizio e dall’elevata capacità di trasporto detritico con ridotti tempi di corrivazione; dal letto sabbioso e ghiaioso, con fasi di minore portata in estate e di piene spesso rovinose in inverno innescate sempre in occasioni di piogge intense.[19]

Un’evoluzione idrogeologica che ha lasciato indizi, sparsi un po’ ovunque nel corso dei secoli: negli scritti e nella memoria collettiva delle popolazioni dei centri più antichi come nelle profonde ed immani spaccature, quasi mute ferite; nei fianchi delle spoglie (adesso) colline peloritane o negli alvei larghi di aride fiumare (in alcuni casi più del Tevere);[20] nelle notizie delle numerose riattivazioni di frane preesistenti agevolate dall’azione incisiva dei numerosi corsi d’acqua presenti nell’area. Basti pensare che quest’ultimi, nell’area dei Peloritani, compreso anche il versante ionico, formano un reticolo idrografico pari al 4% mentre nel resto dell’isola non supera l’1,2%. Per ben tredici secoli, oltre ad essere interessati dalla normale attività di erosione dell’alveo e di scalzamento ai piedi dei versanti, nei torrenti si sono riversati ingenti masse di detriti, staccatesi dai fianchi delle montagne, che hanno determinato l’insabbiamento delle coste e rialzato il corso dei torrenti stessi, tali da formare delle vere e proprie pianure alluvionali.[21]  Così, tutti quei torrenti peloritani, ma lo stesso possiamo benissimo affermarlo anche per gli altri della fascia tirrenica, che già possedevano in origine un’asta abbastanza estesa in lunghezza e una forte pendenza a monte, ricchi d’acqua tutti i mesi dell’anno, si presentavano nell’età antica più bassi rispetto all’attuale livello dell’alveo e sfociavano a mare con un delta più rientrato verso la terraferma creando sulla linea di costa un’insenatura che doveva essere poca profonda.[22] Da tempo la comunità scientifica ha individuato nell’antropizzazione  la principale responsabile  nel tramutare la totalità dei torrenti nelle attuali fiumare sovralluvionate, in particolare modo con le sue attività di disturbo: tra queste il disboscamento, di sicuro, ha esercitato un impatto dominante sulle altre, quali la pastorizia, l’agricoltura e l’urbanizzazione. Possiamo affermare che in questa parte del messinese, all’incirca negli ultimi milletrecento anni, il territorio ha subito, e subisce tutt’ora, gli effetti di un significativo dinamismo ambientale ed umano.

(estratto da Piero Gazzara, “La Piana di Milazzo: territorio e ambiente dall’antichità ai primordi dell’era moderna” in ˂˂Sicilia millenaria. Dalla microstoria alla dimensione mediterranea˃˃, in Atti del Convegno Regionale, Montalbano Elicona (ME), 9 – 11 ottobre 2015, Edizione Leonida, Reggio Calabria 2016).


[1] M. Amari, Storia, cit., p. 443.(vd. M. Amari – C. Schiaparelli, L’Italia descritta nel Libro del Re Ruggero compilato da Edrisi, in «Mem. Acc. Linc., s. II, VIII, CCLXXIV, 1876-77», Firenze 1883, pp. 127 e segg.).

[2] Si vedano al riguardo H. Bresch  – P. Di Salvo, Mulini ad acqua in Sicilia: i mulini, i paratori, le cartiere e altre applicazioni, Palermo 2001 e  S. Tramontana, Mulini ad acqua nella Sicilia normanna, in «Cultura e società nell’Italia medioevale. Studi per Paolo Brezzi», vol. 2, (1988), pp. 810-824.

[3] H. Penet, Le paysage des fiumare messinoises à la fin du Moyen âge, in «La valle d’Agrò, un territorio una storia un destino», (2005), p. 126.

[4] Atti dei Giurati di S.Lucia, Nota dei Mulini 13 agosto 1795, Corte Giuratoria, f. 1158 recto e verso, Anni 1790-95: Comune di S. Lucia del Mela, Scanzia n.5, Stato indicante i nomi e cognomi dei mugnai proprietari, 1868-1876 entrambi in R. Torre , I ventisette Mulini ad acqua al servizio di S. Lucia del Mela, in «Mankarru», n.3, (2014), p. 17;

[5] T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, Maida 1560, Dec. I, Lib. IX, cap. VIII, p. 205.

[6] V. Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, 1740, alla voce Oliveri.

[7] O. Fiandaca, All’origine era l’acqua: i mulini a palmenti di Messina, Roma 2009, p. 19.

[8] R. Pirri, Sicilia Sacra, Panormi 1733, T. 2, p.1043: «Dono autem ad flomariam Rometti molendinum unum» con la facoltà concessa all’Abbazia di S. Maria di Gala di costruirne un altro nella stessa fiumara e in quella di S. Lucia del Mela.

[9] O. Fiandaca, All’origine, cit.,p. 17: «molino Martinetto di proprietà di Antonino Magazzù».

[10]  F. Imbesi, Il privilegio di rifondazione del monastero di S.Maria di Gala (1104-1105), in « Mediterranea», p. 605.

[11]  H. Penet, Le paysage,cit., p. 132; Scoglio G., Monforte san Giorgio e il suo territorio nel medioevo, Trento 2007, p. 106: molendinum in flumine montisfortis in un documento della prima metà del XI sec. riportante una donazione fatta dagli Altavilla al Monastero basiliano di San Pancrazio di Scilla.

[12]  O. Fiandaca, All’origine, cit., p. 14.

[13]  D. Ryolo, Notizie, cit., p. 38.

[14]  S. Cascio, Dei Mulini e delle gabelle, Palermo 2008, p. 16: «giorno 22 dicembre 1782.  Fu così eccessiva la pioggia che il Fiume Freddo uscì notabilmente dal suo letto portando seco e canneti e vigne molte delle quali coverte; il Mulino di Marcione fu gettato a terra dalle acque, come pure alcune case fabbricate vicino al fiume».

[15]  Si veda C. Micalizzi, L’Opificio della polvere pirica in Rometta, Messina 1993.

[16]  Tra il XIII e il XVIII sec. nell’occidente europeo si assiste ad uno sviluppo straordinario dei sistemi produttivi ad energia idraulica dovuto soprattutto all’aumento demografico della popolazione anche se la legna da ardere rimarrà al primo posto tra le fonti d’energia utilizzata, seguita da quella animale e solo dopo quella fornita dalla forza dell’acqua (vd.. P. Malanima, Uomini, risorse, tecniche nell’economia europea dal X al XIX secolo, Milano 2003, p. 65).

[17]  H. Bresc, Un monde méditerranéen. Economie et société en Sicilie. 1300-1450, Roma 1986: Foresta Linaria, Magna Foresta, alcuni dei nomi delle contrade boscose della dorsale appenninica sicula nel medioevo.

[18] Le radici degli alberi fissano il suolo e lo trattengono anche in condizioni di pendenza accentuata con il risultato di impedire le frane. 

[19] M. Basile, Boschi, cit.p. 18,: «I corsi d’acqua in Sicilia si dividono in tre categorie, i Fiumi, i Torrenti (cioè corsi temporanei, l’acqua corre quando piove o v’è neve sui monti. Ai tempi dei Greci e dei Romani erano fiumicelli o ruscelli atteso l’imboschimento dei monti soprastanti), e le Fiumare. Quest’ultime non sono propriamente fiumi né torrenti ma hanno caratteristiche di entrambi: sono corsi che hanno perennità di acqua e se in agosto le passate a piede asciutto, ciò non significa che l’acqua manchi, poca o molta che sia, esiste ed è impiegata nelle irrigazioni» (e dalla seconda metà del XX sec. per gli acquedotti civici). E bene ricordare che il Basile scrive ed opera nel 1890-95.

[20] Ibid., p. 19: «il disboscamento – precisa – ha anche trasformati questi fiumicelli in amplissime fiumare devastatrici: il Niceto e l’Agrò (oltre al Patrì) sono più larghi del Tevere. È inutile costruire, rialzare e riparare continuamente argini in muratura, l’alveo cresce continuamente..e le acque trascinano arene, ghiaie e pietre e montagne franate».

[21] G. Haussmann,  Il suolo dell’Italia nella storia, Torino 1973, p.84; gli apporti di materiali detritici, a volte consistenti, si sono manifestati, per alcuni torrenti, in un imponente sovralluvionamento degli alvei.

[22] H. Michelot, Suite de la carte d’Italie  depuis Mont Argentat jusqu’à Messine, les côtes du nord de Sicille et celles de l’est de Corce et Sardaigne, 1718.